Per una poesia rivoluzionaria. Intervista a Monica Rage à part
Si può dare, oggi, una poesia rivoluzionaria? Una poesia, cioè, che si agganci a un serio sforzo di trasformazione della realtà senza perdere in forza espressiva né ridursi a mero veicolo per slogan? In questa intervista, Monica Rage à part afferma con decisione tale possibilità. Lo fa anzitutto sulla base di un’esperienza concreta, che ci è parsa sorprendente: la pubblicazione di un breve volume di poesie, Il cuore divelto (Edizioni Monte Bove, 2019), in cui, a nostro avviso, si superano positivamente alcune delle tradizionali dicotomie che segnano l’operato dei poeti engagés. Che spesso alternano liriche nate dal totale ripiegamento sul proprio mondo interiore a componimenti nei quali, svolgendo una funzione “militante”, ci si dimentica addirittura del proprio vissuto. In alcune delle più dirompenti poesie di Monica, invece, pare non esservi nessuna separazione tra esperienza personale e partecipazione a un percorso collettivo. Di più, come si evince da alcune passaggi della conversazione, siffatta peculiarità deriva anche da una precisa riflessione sul fare artistico e sulla possibilità di emanciparlo dalle catene della società capitalistica.
Prima di tutto vorremmo sapere se questo è il tuo primo libro di poesie…
Sì, Il cuore divelto è il mio primo libro di scrittura in versi. Tuttavia, essendo sempre stata attratta dalla scrittura, ho avuto modo di sperimentarne altre forme, dalla narrativa al giornalismo.
Questo volume rientra in un preciso progetto editoriale, legato al lancio di testi dal prezzo contenutissimo: ce ne puoi parlare?
Il libro è uscito per Edizioni Monte Bove, casa editrice che ha da poco festeggiato il suo primo anno di attività. Con i compagni della Monte Bove mi sono trovata subito in grande sintonia e ritengo che il loro lavoro rappresenti un bell’esempio di editoria vivace e coraggiosa: sicuramente il proposito di pubblicare libri a basso costo lo dimostra ed è uno degli aspetti più interessanti del loro percorso editoriale. In particolare Il cuore divelto si colloca nella collana Nero caffè, che accoglie brevi testi letterari, di saggistica o narrativa al prezzo di quello che dovrebbe costare ogni caffè: 1 euro! La proposta di accogliere le mie poesie all’interno di questa collana mi è piaciuta moltissimo sin dall’inizio, per diverse ragioni; in primo luogo perché ho ritrovato subito una naturale affinità fra la visione critica della società, presente in queste poesie, e un modo così alternativo di fare editoria.
Nella quarta di copertina, il tuo libro viene inserito nel rifiuto della poesia come mera introspezione esistenziale: è una collocazione in cui ti riconosci?
Diciamo che mi sento a mio agio in questa collocazione, se così vogliamo chiamarla, e che mi sembra calzi con la mia personale esperienza di scrittura in versi. Tuttavia, ritengo indispensabile contestualizzare quest’affermazione, poiché, attraverso la mia poesia non intendo promuovere una crociata intellettuale contro l’introspezione esistenziale o contro l’io lirico del poeta: sono ben altre le lotte da intraprendere, così come sono diversi i piani sulle quali esse vanno combattute. La mia può, però, considerarsi una provocazione alla figura del poeta ed una riflessione sulla sua funzione nell’odierna struttura sociale ed economica. Come tutte le altre arti, la poesia è infatti espressione e riflesso del ceto dominante, del suo gusto e dei suoi bisogni. Di conseguenza, la figura del poeta o dell’artista è inevitabilmente parte dell’ingranaggio socio-economico del suo tempo storico. A dimostrazione di quanto detto è sufficiente constatare quanto i principali eventi politici che hanno segnato gli ultimi decenni (quali le trionfanti dichiarazioni da parte dei potenti circa la “morte delle ideologie”, l’avanzamento delle posizioni dei padroni ai danni dei lavoratori e della classe lavoratrice tutta sui piani dei diritti e delle tutele, nonché l’inasprimento della feroce repressione contro i gruppi politici conflittuali al sistema capitalistico) si siano sistematicamente riflessi anche nel riassetto del mercato editoriale, attento a rendersi sempre più aderente ai canoni richiesti dalla classe sociale dominante. Da qui il trionfo – in una misura tale forse mai vista prima – di un’arte bella, talvolta bellissima, intima e sublime, che si avvolge su sé stessa e sull’artista, fluttuando sospesa nel tempo; in un tempo, il nostro, in cui il mercato questo richiede: di rinchiudersi nel proprio io, nella propria individualità artistica, in un’implosione introspettiva divenuta canone, che rende tabù determinate tematiche, prime fra tutte quelle avverse al pensiero unico dominante. E la poesia non rappresenta certo un’eccezione.
Nel libro, però, a parte i casi ti riferisci a un noi (per es. Minacce di primavera al lavoro salariato), prevalgono le poesie in cui, pur svolgendo un discorso di carattere generale, sembri partire da te (Fuoco in città, Cimitero di sale)…
È una giusta osservazione. Il fatto che in alcune poesie de Il cuore divelto il discorso sia introdotto dalla prima persona può sembrare in contrasto con quanto detto precedentemente, ma la contraddizione è solo apparente. Io sono innanzi tutto un soggetto con propri sentimenti ed esperienze personali dai quali trarre ispirazione, naturalmente. Tuttavia, il mio esistere non si esaurisce nella mia stessa individualità: io sono parte del mio ceto sociale, sono elemento uguale e differente all’interno dell’identità di classe e, per questo motivo, in dialogo con essa e in conflitto con le altre classi sociali.
In una presentazione romana del tuo libro s’è fatto riferimento a Majakovskij come a una fonte d’ispirazione. E’ un richiamo fondato? E quali sono gli eventuali altri influssi sul tuo lavoro poetico?
Finora in tutte le presentazioni è stato nominato Majakovskij in relazione ai miei testi, a volte come termine di paragone, altre di ispirazione. In entrambi i casi, la cosa mi lusinga molto. Amo l’opera di Majakovskij, in particolare le prime raccolte, La nuvola in calzoni e A piena voce. Sicuramente è un modello per me, perciò il richiamo è fondato eccome. Inoltre, nella poesia Fuoco in città ho inserito un piccolo omaggio ai suoi versi, che i lettori più attenti del poeta russo non potranno non cogliere (lascio a voi il piacere di scoprire a quali versi mi riferisco!).
Gli altri influssi sui miei testi provengono, invece, dalla scena punk hardcore. Il rumore, la ruvidità espressiva, l’attitudine, l’energia, la mentalità del do it yourself, i valori di solidarietà e supporto sono tutte cose che ritrovo nel mio bagaglio umano, che mi arricchiscono e ispirano. Di questo devo ringraziare la crew di cui faccio parte, il Tuscia Clan.
In ultimo, ci piacerebbe sapere quale funzione attribuisci, oggi, a una poesia di carattere dichiaratamente militante…
Più che una poesia “militante”, ritengo che sia la poesia rivoluzionaria ad avere una qualche funzione al giorno d’oggi, in cui il capitale maggiormente opera affinché l’arte sia un’attività ludica, di sterile godimento. Io penso che sia interessante fare questo tipo di operazione, sul piano culturale: prendere le forme artistiche che la cultura borghese ci fornisce e decidere consapevolmente di sovvertirne i modelli, il lessico ed i contenuti; per arrivare a degli esiti che il capitale stesso non si aspetta di trovare, creando perciò una poesia rivoluzionaria. Prendere le forme della poesia, soppiantarne le tematiche, svuotarla del disimpegno e infine plasmarla per parlare di lotta di classe, rivoluzione, di militanza, delle contraddizioni della società capitalistica, della smisurata violenza dell’assetto democratico, della libertà del rifiuto di un destino di miseria imposta, della vita vissuta nella lotta. Questa può essere una funzione della poesia rivoluzionaria. Ossia, raccontare una storia differente, la nostra, dalla favoletta della società pacificata e felice della democrazia borghese. Majakovskij scriveva “Al diavolo se non hanno / gli Omeri gli Ovidii, / gente come noi, / butterata di fuliggine. / Io so / che il sole si oscurerebbe vedendo / le sabbie aurifere delle nostre anime!”: ecco, scrivere di noi, della gente “butterata di fuliggine”, odiata dallo Stato, dai padroni e dai loro servi in divisa e non, mi pare già una funzione non di poco conto. Tuttavia, vorrei sottolineare una cosa che mi preme molto ribadire sempre, anche durante le presentazioni di questo libro. Ovvero, che la creazione di una poesia o di un’arte rivoluzionaria può anche avere la sua funzione, ma non è mai di per sé sufficiente a fare di noi dei militanti né dei rivoluzionari, tanto meno essa può essere lo scopo della nostra vita. Come dicevo prima, sono altri gli obiettivi che ci interessano e diversi i piani sui quali sono da perseguire. Non sono i libri a fare cambiare vita alle persone. È la lotta. È l’incontro fra le lotte individuali e la coscienza di classe, fra l’autorganizzazione e la lotta rivoluzionaria degli sfruttati e degli emarginati della società a produrre trasformazioni nel mondo. È questa lotta, è l’abolizione dello stato di cose presenti unita all’azione atta ad abbattere il capitale e le sue forme politiche a fare di noi dei militanti, veri agenti di trasformazione della società, di distruzione del vecchio mondo e creatori del nuovo. Gli artisti, compresi quelli rivoluzionari nel senso in cui abbiamo parlato finora, sono innocui se non vanno fino in fondo, se non intraprendono la lotta più grande di tutte. Al contrario io vorrei rappresentare, nel mio piccolo, una minaccia.
Classe 1989, Monica vive nella Tuscia. Lavora come bibliotecaria ed è ricercatrice freelance di scritture antiche e libri manoscritti, scrive versi e racconti brevi sin dall’adolescenza. Inizia giovanissima a militare nei gruppi extraparlamentari della sinistra, dirige una piccola testata giornalistica militante, collabora con altre e scrive su blog culturali online. Negli anni però matura una visione profondamente critica nei confronti delle istituzioni democratiche e delle stesse organizzazioni partitiche, che sfocia infine in un taglio netto con le forme politiche borghesi e nel parallelo disinteresse per la scrittura giornalistica. Si avvicina successivamente ai collettivi universitari e partecipa attivamente alle proteste contro le riforme scolastiche Gelmini degli anni 2008 – 2011. In questi anni inizia a far circolare poesie e racconti in maniera informale nell’ambiente universitario, riscuotendo consensi. Di lì a qualche anno inizia un percorso di militanza nel collettivo politico autonomo attivo nel suo territorio, il Comitato di lotta Viterbo, con un entusiasmo sempre maggiore che prosegue tuttora. Il cuore divelto è la sua prima raccolta di poesie pubblicate in forma di libro. I testi stanno suscitando un vivo interesse negli ambienti militanti e sono stati accolti con favore anche negli ambiti della sottocultura punk. Le presentazioni si stanno svolgendo in tutta Italia, in circoli politici, associazioni culturali, festival e concerti musicali.